mercoledì 4 giugno 2008

LO STEMMA DELLA CITTA'


Firenze ha come stemma il giglio rosso, la cui rappresentazione deriva dall'iris fiorentino, un fiore di colore bianco che era molto diffuso nel territorio. Al tempo della città libero comune lo stemma era bianco su fondo rosso, ma fu nel 1251, in seguito alle lotte fra Guelfi e Ghibellini che i colori furono invertiti e si adottò la versione del giglio rosso in campo bianco. Ancora oggi il comune della città si fregia di questo stemma, che è rimasto pressoché immutato nei secoli

mercoledì 21 maggio 2008

"Buchette del Vino"

Camminando per le strade di Firenze, sulle mura di parecchi palazzi del centro storico si possono notare alcune curiose aperture di piccole dimensioni usate per la vendita del vino direttamente in strada e chiamate le buchette del vino.
Le buchette permettevano di vendere con discrezione il vino al minuto direttamente in strada, evitavano di ricorrere all'intermediazione degli osti e dovevano avere una clientela molto vasta, come dimostra la loro diffusione.
Altra utilizzazione di queste "buchette" riservata esclusivamente ai palazzi nobiliari, era quella di beneficenza. Infatti, si usava lasciare nel piccolo vano che, considerata la sua ridotta altezza da terra garantiva l'anonimato, cibo o una brocca di vino appunto per i più bisognosi.
Dal punto di vista architettonico le buchette aprivano su un vano al pian terreno del palazzo facilmente collegabile alla cantina, dove un servitore curava la vendita delle bottiglie del vino in determinate ore del giorno. Le aperture pemrettevano appena il passaggio di un fiasco e presentano quasi sempre una forma a porticina con un archetto superiore, spesso decorato da una cornice con punta a goccia, chiuso da una porticina in legno. Le eleganti cornici di pietra liscia o bugnata che gli conferivano un sobrio aspetto tanto da essere detti in antico "tabernacoli del vino".
Alcune buchette sono oggi murate, mentre altre riportano ancora lapidi che informano i clienti sugli orari di vendita stagionali. Le meglio conservate si trovano in via del Giglio e in via del Sole (ved.Foto).

mercoledì 7 maggio 2008

Accademia della Crusca


Sede:La Villa Medicea di Castello

Associazione letteraria che ha il compito di studiare e salvaguardare la lingua italiana. Il nome fa riferimento alla necessità di separare la buona lingua (cioè la farina) dalla cattiva lingua (vale a dire la crusca). L'insegna dell’Accademia è quella del frullone, o buratto, il cassone di legno entro il quale il mugnaio separava il fiore della farina dalla crusca; il motto è “il più bel fior ne coglie”, tratto da un verso di Francesco Petrarca, inteso come scegliere il fior fiore della lingua .
Si stabilì anche che tutti gli oggetti e la mobilia dell’Accademia dovessero avere nomi attinenti al grano, alla crusca, al pane, compresi gli stemmi personali degli accademici, Pale di legno in cui era dipinta un’immagine simbolica accompagnata dal nome accademico e dal motto scelto.
L’Accademia si costituì tra il 1582 e il 1583 per iniziativa di alcuni letterati fiorentini che intendevano rivalutare la lingua fiorentina del Trecento, L'opera principale dell'Accademia, il Vocabolario (1612; ampliato e ripubblicato più volte fino al 1923), suscitò immediatamente grande interesse e altrettanto accese dispute riguardo ai criteri adottati; in particolare, a molti non piacque l’aperto fiorentinismo arcaizzante proposto dal Vocabolario, che comunque rappresentò per secoli, in un’Italia politicamente e linguisticamente divisa, il più prezioso e ricco tesoro della lingua comune, il più forte legame interno alla comunità italiana, quindi lo strumento indispensabile per tutti coloro che volevano scrivere in buon italiano.Ebbe grande fortuna in tutta Europa e divenne modello di metodo lessicografico per le altre accademie europee nella redazione dei vocabolari delle rispettive lingue nazionali.
Oggi In Italia e nel mondo l'Accademia della Crusca è uno dei principali punti di riferimento per le ricerche sulla lingua italiana.

martedì 22 aprile 2008

Così bella da star male

La sindrome di Stendhal detta anche di Firenze, è una malattia psicosomatica che causa tachicardia, capogiri, vertigini, confusione e anche allucinazioni quando l'individuo è esposto ad una massiccia quantità di opere d'arte.
Tale disagio è spesso riscontrato a Firenze, dove il locale ospedale di Santa Maria Nuova è almeno una volta al mese luogo di ricovero di pazienti stranieri colpiti da disturbi psicologici acuti.
Il sintomo, piuttosto rarO, colpisce principalmente persone sensibili e fa parte di cosiddetti malanni del viaggiatore.

Il nome della sindrome si deve allo scrittore francese Stendhal che si trovò in una situazione di forte disorientamento, abbagliato e sopraffatto dalla bellezza della Basilica di santa Croce .
L'osservazione dei singoli casi ha permesso di verificare che, nel corso delle crisi, si animano vicende profonde della realtà psichica e si riattiva la vitalità della sfera simbolica personale. E il viaggio diventa pure, nella sue soste tanto attese nelle città sognate, un'occasione di conoscenza di sé.
La formulazione scientifica ed il riconoscimento come tale della sindrome di Stendhal, sebbene numerosi casi fossero stati riscontrati dalla prima metà del XIX secolo, non arrivò che nel 1979, quando fu analizzata in un libro dalla psichiatra Graziella Magherini, che osservò e descrisse più di 100 casi fra i visitatori del capoluogo toscano.
Il fattore scatenante la crisi si ha spesso durante la visita ad un museo della città, dove il visitatore è colpito dal senso profondo di una o più opere, la relazione di queste con i loro creatori che trascende le immagini ed i soggetti; ciò si manifesta inizialmente con comportamenti molto vari che comprendono anche un'isteria che può spingere anche alla distruzione dell'opera.

Il gelato a Firenze



XVI secolo, il Rinascimento, ecco i nomi che faranno la storia del gelato Italiano. Ruggeri, pollivendolo e cuoco a tempo perso, concorrente inatteso e snobbato da tutti gli altri cuochi partecipanti ad una gara alla Corte dei Medici, fra i piu bravi della Toscana, con tema: "il piatto piu singolare che si fosse mai visto". Ruggeri timido ed imbarazzato chiese di prendere parte alla competizione. Avrebbe preparato un dolcetto gelato con delle ricette quasi dimenticate e con un pizzico di fantasia. Con il suo "sorbetto" conquistò i giudici: "Non abbiamo mai assaggiato un dolce così squisito". E così, vincitore, diventò famoso in tutta la regione, e ricercato ovunque.Caterina de Medici, dovendo partire per sposare Enrico, duca d' Orléans e futuro Re di Francia, espresse il desiderio di portare con sé, oltre a cuochi e pasticcieri, l' unico italiano, diceva lei, in grado di umiliare i francesi, almeno in cucina. Ruggeri, che nel frattempo era tirato in ballo ovunque per i pranzi dei personaggi più famosi dell' epoca, venne "prelevato" dai soldati e caricato sulla nave. A Marsiglia, al banchetto di nozze, fece conoscere dai francesi il suo gelato, la ricetta di: "ghiaccio all' acqua inzuccherata e profumata".Era il 1533 e lui ricevette l' ordine di dare libero sfogo alla sua fantasia, in modo da stupire gli ospiti dei banchetti reali . Fu così, con la sua ricetta, ancora segreta che cominciò a dare delle forme al gelato e creare veri e propri monumenti, in miniatura. Caterina rifiutò ogni regalo od offerta di denaro pur di tenersi stretto il buon Ruggeri, ma per lui la fama diventò l' inferno ! Venne odiato da tutti i cuochi della capitale, fu boicottato in ogni modo, ed una sera addirittura aggredito, derubato e bastonato! Chiuse in una busta la ricetta della sua invenzione e la fece rcapitare a Caterina, con questo messaggio di congedo: "con il vostro permesso ritorno ai miei polli, sperando che la gente mi lasci finalmente in pace e, dimenticandosi di me, si accontenti soltanto di gustare il mio gelato".Cuochi e pasticcieri al seguito di Caterina de' Medici si trovarono così la fortuna di diffondere il gelato in tutta la Francia. Sempre a Firenze nel Cinquecento, Bernardo Buontalenti famoso architetto, pittore e scultore, aveva l' hobby della cucina e di conseguenza arrivò al gelato. L' occasione gli giunse quando ricevette l' incarico di organizzare sontuose feste, che avrebbero dovuto a lasciare a bocca aperta italiani e stranieri. Ovviamente i banchetti avevano un ruolo importante e Buontalenti presentò i suoi "favolosi dolci ghiacciati", nati da uno strano “aggeggio”. La sua macchina a forma di scatola chiusa, con intercapedine isolante, avrebbe avuto un cilindro centrale contenente vari ingredienti freddi che si consolidavano grazie a spatole mosse di continuo da una manopola esterna.. i suoi sorbettiErano a base di zabaglione e frutta, ebbero un successo strepitoso, e le sue ricette partirono da Firenze diffondendo in breve tempo il gelato in tutta Europa e non solo.


Bernardo Buontalenti
(Firenze 1536-1608)

lunedì 21 aprile 2008

"I Bischeri"


I Bischeri erano una famiglia di Firenze vissuta nel 1300. Abitavano vicino alla zona dove oggi sorge il Duomo e possedevano molti immobili e terreni nella zona. Poiché il Comune aveva deliberato di edificare il Duomo, si pose la necessità di acquistare i palazzi di proprietà dei Bischeri. Questi ultimi si rifiutarono di vendere ritenendo il prezzo troppo basso. Una notte, però, scoppiò un incendio che distrusse tutti gl’immobili della famiglia Bischeri che alla fine dovette cederli al comune ad un prezzo molto inferiore a quello precedentemente offerto.Da allora il termine “bischero” viene usato soprattutto dai fiorentini per indicare una persona che si crede furba ma alla fine si dimostra stupida. Di solito il termine viene usato in modo scherzo, ma può anche essere usato in modo dispregiativo.



Foto (Il nome di un componente dei Bischeri inciso sul lato sud della Cattedrale)

martedì 15 aprile 2008

Caterina De Medici e la buona tavola


Caterina de' Medici
Nipote di Lorenzo il Magnifico, Caterina de' Medici andò sposa a Enrico d'Orléans, il futuro Enrico II (1533). A lei si deve l'influenza che la cucina fiorentina ebbe su quella francese perché i cuochi e i pasticceri che la seguirono fecero scuola; questo fatto fu ammesso dagli stessi francesi e Flammarion scrisse: "Dobbiamo riconoscere che i cuochi italiani che vennero in Francia al seguito di Caterina de' Medici all'epoca del suo matrimonio con Enrico II, furono all'origine della cucina francese, per gli elementi e i condimenti, per noi nuovi, che essi portarono e da cui i cuochi (La Varenne, De Masseliet, Valet, De La Chapelle, Carême, Escoffier) s'ispireranno così bene che non tarderanno a surclassare i loro iniziatori". Caterina aveva fama ed era grande mangiatrice e bevitrice; spinta dal gusto per la buona tavola portò in Francia: salse - l'uso delle rigaglie - l'olio d'oliva - le crespelle - gli spinaci - i fagioli - i piselli - i carciofi - l'uso di cucinare i volatili all'arancio e tanti piatti che poi si imposero nella cucina internazionale come francesi. Ad ammetterlo sono i più importanti cuochi come Antonin Carême che nel 1822 scrisse:
"I cucinieri della seconda metà del Settecento avevano conosciuto il gusto della cucina italiana che Caterina de' Medici aveva introdotto alla corte di Francia".
E Jean Orieux che nel libro dedicato a Caterina afferma:
"Proprio i fiorentini hanno riformato l'antica cucina francese di tradizione medioevale; ad essi risale la cucina francese moderna". È da precisare però che ai cuochi francesi va riconosciuto il merito di aver mantenuto in uso - introducendole nella loro cucina nazionale - molte ricette che nel nostro paese da tempo sono cadute in disuso e di averle in molti casi inserite nella cucina internazionale.

venerdì 21 marzo 2008

IL TRAMONTO

Lapide incisa in via De' Georgofili - Poesia di Nadia Nencioni
Il tramonto

Il pomeriggio

se ne va

Il tramonto si avvicina

un momento stupendo

Il sole sta andando via (a letto)

E' gia sera tutto è finito




Nadia Nencioni, frequentava la scuola elementare.Morì a nove anni con la sorellina di cinquanta giorni, la madre e il padre, saltando in aria con tutta la sua casa, tra le rovine provocate dalla bomba fatta scoppiare in via de' Georgofili alle una e zeroquattro del 27 maggio 1993.

lunedì 17 marzo 2008

4 novembre le due alluvioni




In Via San Remigio, proprio all’angolo con Via dè Neri. Sono state poste due lapidi che ricordano due alluvioni, forse le più terribili e disastrose sofferte da Firenze: quella del 1333 e quella del 1966.
Sebbene così lontani nel tempo, i due eventi sono legati tra loro da una curiosa affinità: entrambe le alluvioni sono avvenute nello stesso giorno: il 4 novembre! Nella prima lapide, la moderna, che sovrasta la seconda di circa trenta centimetri, si può leggere “il 4 novembre 1966 l’acqua d’Arno arrivò a questa altezza”.
Ben più interessante appare invece la seconda lapide, quella originale dell’epoca; una croce sovrasta un’immagine nella quale si riconoscono le onde dell’Arno ed una mano con un dito teso ad indicare il livello raggiunto dalle acque; una scritta in gotico avverte in rima: “1333 dì di quattro novembre giovedì, la notte poi vegnendol venerdì, fu alta l’acqua d’Arno fino a qui”.

lunedì 3 marzo 2008

San Zanobi


San Zanobi primo vescovo della città, vissuto fra il IV ed il V secolo era amatissimo e venerato dal popolo fiorentino al punto che le spoglie erano state sepolte in pompa magna nella chiesa di San Lorenzo.
Dopo alcuni anni si decise però che il luogo più consono dovesse essere la cattedrale della città pertanto si volle trasferire il corpo in Santa Reparata. (antica cattedrale di Firenze, sul cui sito è stata eretta Santa Maria del Fiore).
Era dicembre e faceva un gran freddo il corteo funebre seguiva le reliquie del Santo, portate a spalla da alcuni fedeli, proprio mentre il corteo passava nelle vicinanze del Battistero, la bara sfiorò un olmo secco e l’albero immediatamente mise le foglie e fiorì.
I fiorentini accorsero da tutta la città per ammirare a quel prodigio straordinario e molti di loro colsero un ramoscello fiorito in onore del Santo Vescovo ed anche come segno augurale.
In ricordo di quell’ episodio oggi in quel luogo sorge una colonna, detta appunto di San Zanobi, sormontata da una croce in marmo con ghirlanda in ferro battuto, ogni anno il 26 gennaio, in ricorrenza di quel miracolo, la base viene addobbata con corone di fiori.In realtà la colonna che vediamo oggi è stata posta nel XIV secolo, quella originale datata intorno al 430, venne spazzata via dalla tremenda alluvione del 1333

giovedì 21 febbraio 2008

"L'oppio"


Palazzo Bartolini Salimbeni è uno dei più importanti palazzi tardo rinascimentali della città di Firenze e italiani in generale. È situato fra Piazza Santa Trinita e Via Tornabuoni.
Sull’arcitrave di una porta laterale del palazzo è scolpito il motto della famiglia:” per non dormire”, lungo le cornici del palazzo sono riprodotti mazzetti di papaveri, legati fra loro a tre a tre.
L’origine del motto e dei papaveri risale al quattrocento quando ebbe inizio l’ascesa economica della famiglia Bartolini, ascesa che culminò appunto nella costruzione del suddetto palazzo.
La leggenda vuole che Bartolini, mercante di lana, fosse partito in compagnia di altri componenti della stessa Arte alla volta di Venezia per perfezionare degli affari.
Una volta a cena con i mercanti veneziani e con i propri colleghi, sembra che, furtivamente, abbia provveduto ad oppiare le bevande dei suoi “amici” concorrenti tanto che questi, ad uno a uno, si siano ritirati a dormire.
Rimasto alla fine solo con i veneziani, il Bartolini ebbe così la possibilità di concludere un numero incredibile di contratti, al punto tale che, una volta tornato a Firenze, la famiglia divenne in breve tempo una delle più ricche della città.In ricordo di quell’episodio che aveva radicalmente cambiato la vita alla famiglia, I Bartolini fecero scolpire sia i mazzi di papaveri, dagli ovuli dei quali era stato ricavato l’oppio per far addormentare gli altri mercanti fiorentini, sia la frase “per non dormire” grazie alla quale tutta quella ricchezza era stata possibile.

mercoledì 13 febbraio 2008

" L'Acculata"


Lo sapevate che i due detti popolari “essere con il culo per terra” “essere sculati” derivano da una singolare condanna “l’Acculata” che veniva eseguita nel centro della cosiddetta “Loggia del Porcellino”.
I condannati venivano tradotti dalle guardie sul luogo della sentenza, possibilmente nell’ora di maggiore affluenza di pubblico, venivano poi denudati nel fondo schiena, sollevati per le braccia e le gambe e veniva loro fatto battere una o più volte il sedere nudo sulla pietra raffigurante il Carroccio e proprio per questo chiamata “ la pietra dello scandalo”, il tutto beninteso tra la curiosità, lo scherno e la derisione di mercanti e clienti.
La pena suddetta , era più morale che fisica, si voleva raggiungere lo scopo di dissuadere il reo dalla reiterazione del reato, ma anche di informare i cittadini per proteggerli da una persona disonesta. Perciò era necessario che la punizione avvenisse in un luogo simbolico, altamente evocativo e molto frequentato, così che un alto numero di spettatori garantisse la massima pubblicità ed un elevato effetto frustrante.
La scelta del luogo, Piazza del Mercato Nuovo, non è priva di significato, infatti
se si gira intorno alla Loggia, si noterà una lapide con l’iscrizione “Canto del Saggio”: Non si tratta di un angolo dedicato alla saggezza: poiché accadeva che molti fossero tentati di limare i bordi del Fiorino d’oro per vendere la limatura agli orafi, si istituì così un ufficio per saggiare la moneta. . Limare i bordi del “San Giovanni” era reato, peccato ed anche stoltezza, quindi chiunque poteva chiedere il controllo che veniva fatto all’istante.
La forza simbolica di questo luogo inoltre era legata ai valori di libertà e giustizia della Repubblica di Firenze rappresentati dall’antico Carroccio che portava lo stendardo bianco e rosso con lo stemma della città e la Martinella, la campana che chiamava a raccolta le milizie in caso di guerra. E, proprio nell’imminenza della guerra ed in tutte le occasioni ufficiali, il carro rituale con i rappresentati militari della Repubblica veniva portato nella piazza, dove si esponevano i disonesti. Nel mezzo dello spazio rettangolare che costituisce il pavimento, si vede una pietra circolare che raffigura un cerchio con sei raggi: si tratta della riproduzione in dimensione reale della ruota del Carroccio.

martedì 12 febbraio 2008

"Il Toro" del Duomo


Se ammirate con attenzione la fiancata sinistra di S. Maria del Fiore alla sommità di una colonna portante c’è la testa di un toro che sporge dal cornicione.
In realtà si tratta della raffigurazione di una vacca, messa in bella vista per onorare tutti quegli animali che hanno collaborato nel corso dei secoli al lavoro dell’Opera del Duomo sobbarcandosi il peso dei trasporti più gravosi, ma la fantasia popolare ha invece visto in quell’immagine la testa di un toro e su quella testina è sorta una leggenda.
La testa del toro infatti sembra sia stata posta in quella precisa posizione da uno dei mastri carpentieri che lavoravano alla costruzione della nuova Cattedrale. L’uomo era da lungo tempo l’amante della moglie di un fornaio che aveva la propria bottega poco distante dalla chiesa.
Il fornaio, una volta scoperta la tresca, andò su tutte le furie e minacciò il mastro carpentiere denunciano la moglie per adulterio al Tribunale Ecclesiastico. I due amanti vennero condannati e dovettero interrompere la loro relazione. Il mastro carpentiere volle però vendicarsi e collocò la testa del Toro “cornuto” proprio di rimpetto alla casa del fornaio, cossicchè, il pover’uomo ogni volta che si affacciava alle proprie finestre si trovava di fronte…. Il ricordo di quel tradimento!